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RASSEGNA DELLE GITE ESCURSIONISTICHE ORGANIZZATE DA SERGIO OLLIVIER

In questo sito ho raccolto le molte gite escursionistiche che in venticinque anni di attività come organizzatore di gite a piedi avevo allestito per il Club Alpino XXX Ottobre di Trieste e qualche altra associazione similare. Spero che possa essere di qualche utile suggerimento per chi ama andare a camminare alla scoperta di luoghi e sentieri che ancora non conosce.

4a - Monte Nero-Krn di Caporetto, in traversata da Lepena a Dresenza


salita al MONTE NERO-KRN DI CAPORETTO 
ai confini occidentali del PARCO NAZIONALE DEL TRICORNO-TRIGLAV 
lungo il fronte della Grande Guerra, cent'anni dopo

L'itinerario della traversata: Lepena-rifugio Klementa Juga (700 m), rifugio Lago Nero (1370 m), Lago Nero (1385 m), Sella Sonzia (2058 m), Monte Nero-Krn (2244 m), Rifugio Gomišckovo (2182 m), Dresenza-Dreznica (554 m).

La gita prevede due distanti punti d' inizio e fine escursione, per cui va effettuata con l'ausilio di una propria corriera oppure lasciando preliminarmente delle automobili a Dresenza. Per chi la vuole fare con più tranquillità oppure proviene da più lontano si consiglia di programmarla in due giorni con pernottamento al rifugio Lago Nero-Krniski jezero.

DESCRIZIONE DELLA GITA: Il testo è tratto integralmente da una mia gita effettuata nel 1996 >>  cliccare qui <<

La valle Lepena è facilmente raggiungibile: punto di passaggio obbligato è Caporetto (Kobarid), cui si può pervenire sia seguendo la direttrice Cormons, Cividale, ex-valico di Stupizza, transitando su strade pianeggianti e non molto frequentate, sia passando per Nova Gorica e percorrendo la bellissima, anche se un po' tortuosa strada che risale la valle dell'Isonzo. In questa o in altre occasioni di gite non si deve tralasciare una visita all'importante museo di Caporetto, molto bene allestito nella centrale villa Masera. Innumerevoli foto e cimeli, una struggente ricostruzione, anche sonora, della vita in un ricovero di montagna e un grande plastico rappresentante le zone di guerra, rendono molto interessante la visita. Proseguendo lungo la valle dell'Isonzo (Reka), si oltrepassa Plezzo (Bovec) e al bivio successivo s'imbocca a destra la celebre val Trenta (a sinistra si salirebbe al passo Predil). Pochi chilometri ancora e chiare indicazioni ci fanno deviare verso destra: siamo così entrati in val Lepena. Una non larga ma agevole strada asfaltata la risale per 7 km. raggiungendo il grande posteggio di fondovalle, dove si trova il rifugio Klementa Juga, il punto di partenza dell'escursione. L'attuale rifugio è frutto della ristrutturazione di una ex-casema di finanza, costruita dagli italiani negli anni '20; consta di circa 60 posti letto ripartiti in camerate e stanze da 4 letti, con apertura da giugno a settembre e in altri favorevoli fine-settimana. Iniziamo la nostra lunga traversata prendendo una mulattiera segnalata che risale con molti tornanti e in costante pendenza, il fianco boscoso. E' meglio ignorare un altro sentiero segnalato che sale troppo ripidamente, da utilizzare piuttosto in discesa. Guadagnati così 600 metri di dislivello, si esce dal bosco nei pressi della stazione d'arrivo della teleferica servente l'ormai vicino rifugio lago Nero. Si traversa con qualche saliscendi seguendo la carrareccia di servizio, in ¼ d'ora arriviamo al grande rifugio, costruito 24 anni fa, che costituisce un ottimo punto d'appoggio per l'agevole salita alle cime circostanti e per compiere qualcuna delle tante belle traversate montane proponibili. Il rifugio, sommando la capienza della costruzione principale e un'altra adiacente, entrambe piuttosto confortevoli, dispone di ben 170 posti-letto, per lo più in camerette a 4 posti. Il trattamento gestionale è buono, come pure il menù che è tradizionalmente semplice (vari minestroni, uova con pancetta,ecc); un vicino laghetto serve per la riproduzione ittica. Lasciato il rifugio, utilizziamo una carrareccia che conduce al ripiano dove pascolano numerose capre pertinenti alla rustica malga Duple. Durante la 1a guerra mondiale qui erano piazzate le baracche di retrovia austriache. Superato l'incrocio dove s'innesta il noto sentiero traversale sloveno n° 1 proveniente dal lago di Bohini e dai rifugi della Komna, in breve raggiungiamo la meravigliosa conca che racchiude il Lago Nero. Di evidente origine glaciale, lungo 300 metri e largo 100, il lago è incantevolmente ameno. Per l'intenso colore verde-azzurro su cui si specchia la mole del monte Nero, il potersi soffermare, in rilassante passeggiata, sulle sue sponde, la possibilità di una inconsueta balneazione e infine per la relativa facilità dell'accesso, il lago Nero può già costituire la meta di una molto gratificante gita. La traversata prosegue con un sentiero che raggiunge il bordo di un vastissimo pianoro; al suo margine sorge la minuscola malga Pollio, ora adibita a casa dei guardiacaccia. Attraversata la grande conca, la mulattiera riprende ben segnalata e sicura. Si sale seguendo i suoi frequenti tornanti, su sfasciumi e rocce carsificate, in un ambiente che gradualmente si fa sempre più aspro e panoramico. Giunti a un bivio (posto a quota 1800 metri circa) per salire al monte Nero si deve prendere a destra. Il sentiero, mai pericoloso, dapprima si destreggia fra le roccette, offrendo un'impressionante veduta sulle repulsive pareti dei monti Pieschi, Rosso e Nero, poi con un'ultima rampa raggiunge la sella Sonzia, punto fondamentale della traversata. Avendo tempo e forza a disposizione (¾ d'ora e 110 metri di dislivello in più) è altamente raccomandabile, arrivati al bivio anzidetto, prendere invece a sinistra. In tal caso, dapprima si sale, grazie ad una chiara ma faticosa traccia fra le ghiaie e poi seguendo la sua non difficile cresta est, si guadagna la piatta sommità del monte Rosso, reso tristemente celebre per essere stato un punto focale nella tragica 1a guerra mondiale. Mentre il monte Nero era stato conquistato dagli italiani fin dalle prime fasi della guerra, sul monte Rosso invece i due eserciti si affrontarono con trincee distanti poche decine di metri, in disperati e cruenti scontri dall'esito alterno. I grandi massi disseminati su gran parte della cima sono la sconvolgente testimonianza di una complicata guerra di mine e contromine che culminò, il 24 ottobre 1917, con un devastante scoppio per mano austriaca, che abbassò la vetta fortificata di 15 metri. Nella spettacolare discesa verso sella Sonzia s'incontrano molti bunker, una ardita scala intagliata nella roccia che richiede un po' di cautela per l'esposizione nel vuoto, lapidi commemorative, ecc. Giunti alla sella Sonzia, sarebbe imperdonabile scendere subito a valle perché il nostro obiettivo, la cima del monte Nero, è ormai vicino. Seguiamo il sentiero segnalato e, superati i tornanti dell'ultima rampa, la cima e il rifugio Gomiščkovo, posto poco sotto la vetta, finalmente appaiono al nostro sguardo. Si può scegliere fra seguire la sua facile cresta per raggiungere prima l'ambita vetta e poi scendere al rifugio oppure, forse è più logico, fare il contrario. Comunque sia, il panorama che, nelle giornate limpide, si gode dalla sommità del monte Nero è incredibilmente vasto: una trionfale sequenza di innumerevoli monti, che riconosciamo a fatica grazie all'aiuto di una provvidenziale tabella indicatrice, frastaglia il nostro grandioso orizzonte montano, ma pure sorprendente è l'aperta veduta rivolta verso la pianura friulana e il lontano mare Adriatico, con i pur alti monti Nevoso, Nanos e Mataiur che sembrano ridotti a modeste ondulazioni collinari. Pochi minuti di facile discesa e arriviamo al rifugio Gomiščkovo, dove ci concederemo una meritata sosta ristoratrice. Il rifugio è stato ricostruito 60 anni fa sulle rovine di uno eretto dagli italiani nel 1928, che aveva una monumentale facciata ed era dedicato alla memoria dell'eroico sottotenente Picco. Nonostante l'alta quota (2182 m) e il suo estremo isolamento, è egualmente piuttosto accogliente e frequentato. I socievoli gestori raccontano, con malcelato orgoglio, di come riescano a risolvere le tante difficoltà del vivere, per mesi, lontani 3 ore di cammino da ogni confort moderno. Non essendoci né strade, teleferiche o cavi, si sfrutta solo quel che regala la natura. Per l'energia la forza del sole e del vento, la preziosa acqua proviene dal cielo, le provviste vengono trasportate da cavalli che salgono fin quassù partendo da una malga posta 1000 metri più in basso. Eppure essi sono sempre in grado di offrire un'efficiente accoglienza (40 i posti letto) e un semplice ma gustoso desinare. Affacciandosi sull'aerea balconata su cui è posto il rifugio, proprio nel punto dove arriva un'audace ferrata, si può ora intravedere il sottostante e molto lontano paese di Dresenza (Drežnica), dove avrà termine la nostra grande traversata. Iniziamo la lunga discesa usando la vecchia mulattiera di guerra, facile anche se accidentata, che discende, con molti tornanti, tutto quel vasto pendio inclinato che, se visto da lontano, rende inconfondibile il profilo del monte Nero. Giunti a un bivio lasciamo a sinistra un'alternativa molto frequentata che ci porterebbe al paesetto di Krn, massima quota che è raggiungibile in automobile. Il paesaggio sta cambiando, il terreno franoso e la vegetazione rigogliosa a volte riduce il sentiero. Ci concediamo una piccola sosta sull'invitante panca di una isolata casa per cacciatori che ha sul retro un'ottima sorgente. Scavalcato un cancello che segna il confine del parco naturale del Tricorno, proseguiamo guidati dal segnavia attraversando zone boschive che si alternano a ampi pascoli. Finalmente le prime case di Dresenza ci accolgono; alle vecchie costruzioni rurali si mescolano i moderni villini. Dopo lo slargo centrale, unico spazio per un comodo parcheggio, inoltrandoci fra un dedalo di viuzze, rintracciamo la bella trattoria del paese, dove potremo gustarci il meritato conforto gastronomico. Fra una portata e l'altra il cordiale e informato gestore, ci racconta volentieri delle belle vetrate della sua chiesa, costruita nel 1912, quale meta di austriache intenzioni pellegrine o dei preziosi affreschi quattrocenteschi custoditi nella chiesetta di san Giusto del vicino villaggio di Koseč, o dei frequentati agriturismo della zona. E' un peccato che la cena sia finita, avremmo voluto saperne di più. Ripromettendoci di ritornare ci avviamo verso la macchina con cui ritorneremo alla consueta vita quotidiana. Istintivamente il nostro sguardo risale l'incombente parete e cerca lassù, poco sotto la cima, il piccolo puntino fuori dal mondo dove qualche ora fa avevamo trovato, per il sollievo del corpo e dell'anima, il nostro rifugio. E' con questa ultima splendida immagine che si conclude la nostra gita sul monte Nero.

SULLE MOTIVAZIONI PER ANDARE IN GITA:
Incontrai il giovane Zlatko mentre ero intento alla preparazione di una gita sul monte Sabotino. Ricordo che in quell'occasione si era innescata una travolgente reazione a catena. Un amico goriziano mi aveva portato sul suo monte prediletto, io stupito dalla sua aspra bellezza, ne ero rimasto perdutamente ammaliato e poi parlandone in giro, avevo involontariamente trasmesso l'infatuazione a parecchi degli amici della Trenta. A quel punto il ricavarne una gita sociale era diventata una scelta quasi obbligata. Numerosi e minuziosi sono stati i sopralluoghi, tutti molto belli e stimolanti, al fine di individuare il percorso più opportuno. Mi occorreva, per chiudere bene l'itinerario, un buon punto di fine gita, dove gli escursionisti potevano ritrovare la corriera e un confortevole posto di ristoro. Fu così, un po' per caso e un po' per calcolo possibilistico, che un giorno giunsi all'appartato paese di Plava d'Isonzo e alla sua trattoria al di là del ponte. Con circospezione entrai nel locale, provando quel particolare insieme di timore e attrazione che spesso mi prende quando mi avventuro su quei sentieri, specie se umani, che non so dove mi conduranno. Un "ena cava" chiedo per iniziare, ma poi mi presento e spiego alla incuriosita famiglia già convenuta, cosa ho in programma e se potevano darmi qualche buon consiglio. Dopo mezz'ora la situazione è di molto cambiata: mi ritrovo che, salutato affettuosamente dalla madre, sto salendo sulla jepp condotta dal padre, assieme al giovane figlio che, in stentato italiano, già mi confida, fotografie alla mano, di quali monti si è finora più innamorato. Abbiamo cercato a lungo e invano il vecchio sentiero che ormai era stato sopraffatto nell'uso dalla strada asfaltata che volevo far evitare. E mentre scendevamo insieme, lottando con istintiva intesa contro un bosco abbandonato e inselvatichito, ho così potuto conoscere Zlatko e il suo buon carattere. Non è stato semplice per noi sfuggire da quella ingarbugliata nuova jungla, che non aveva più in se nessun sentiero utile per la mia gita. Alla fine, eravamo entrambi bagnati, graffiati e sconfitti ma anche contenti perché forse in essa avevamo trovato la facile scorciatoia per diventare dei buoni amici. Un mese dopo l'attesa gita sul Sabotino, forse la più bella fra quelle che finora ho organizzato, si concludeva felicemente nella "trattoria presso il ponte sull'Isonzo". Fra la mia gente serpeggiava il mio stesso stupore e ammirazione per la suggestiva bellezza del percorso che avevano appena compiuto e già progettavano di tornarci con parenti e conoscenti. Nella consueta confusione che precede la partenza riuscii appena a salutare i cari genitori; a Zlatko invece, per ringraziarlo di tutto, regalai una carta delle Dolomiti, che sapevo capace di farlo fantasticare e sognare. Lui ricambiò il mio dono facendomi un'inaspettata proposta: " Andiamo insieme sul più bel monte vicino a casa mia?" Facile intuire quale fu la mia risposta. Non ci pensavo più, altri progetti, altri monti, la vita cittadina con i suoi problemi, mi avevano distratto. E invece una mattina squilla il telefono e riconosco la gaia voce della mamma che mi propone, a suo nome, di andare con lui sul monte Nero, sopra Caporetto. Due giorni dopo, trascinato dall'entusiasmo per una probabile bella gita che più non prevedevo, alle 4 sono a Plava, un luogo che mi sta diventando familiare. Quindi il lieto incontro con Zlatko e un paesano suo coetaneo, il formarsi di uno strano trio, che pazzamente, a notte fonda già si avvia. La mia auto la lasciamo a Dresenza, poi con la jepp si raggiunge Lepena e da qui, al primo chiarore dell'alba, la nostra avventura può iniziare. E' da poco che saliamo nel bosco eppure sono già un po' in affanno: è strano perché il sentiero non è più duro di tante altre volte, forse è a causa del fitto dialogo fra noi, fatto di verbi all'infinito nella divertente ricerca del capirci, provocato dalle loro continue domande curiose. Quasi all'improvviso arriviamo al grande e moderno rifugio; il sole non è ancora sbucato oltre le alte montagne, ma all'interno c'è già molto movimento. Sento di nuovo quel fascino derivato dal luogo, lingua e gente a me sconosciuta, ma nessun timore perché mi sento protetto dai miei premurosi accompagnatori. Ci concediamo solo un breve ristoro e poi via per andare a ammirare il vicino lago glaciale, che è ancora più incantevole di come l'avevo immaginato. Le tre foto di rito, fatte a coppie alternate, mi fanno capire che l'intesa fra noi si sta consolidando. Arrivati a un grande pianoro, illuminato dal sole nascente, il monte Nero mi appare, alto e ancora molto lontano e ci sollecita a riprendere il cammino. Ora s'inizia a salire sul serio; il sentiero non è difficile ma in costante, discreta pendenza. A un bivio ci concediamo una piccola sosta. Loro, forse sorpresi di vedermi arrancare ancora bene, insinuanti, mi propongono di fare anche un altro monte in supplemento; io, disinvolto in apparenza ma incerto nel mio interno, spavalmente assecondo l'idea. E' da un bel po' che andiamo sempre su, ora si parla molto meno. Il nostro è proprio uno strano trio: loro due, che sommando gli anni non raggiungono la mia età, si innalzano con il freno a mano tirato, simili ad agili caprioli, io che ho già innestato la ridotta, rallento ma tenacemente continuo a sudare e salire. Quando finalmente arriviamo sulla cima, dai grandi massi sconvolti da un'assurda guerra di mine capisco d'essere sul monte Rosso; infatti il Nero è ancora distante, al di là di una profonda sella. Discendiamo: bunker, filo spinato arrugginito, lapidi con dedica, tanti gradini intagliati nella roccia, mi fanno riconoscere, nel concreto, vecchie foto viste su un recente libro di guerra. Dopo la sella c'è ancora da penare per l'ultimo strappo in salita, che mi sembra non avere mai fine. Ma la fatica scompare quando finalmente raggiungo la vetta; soddisfatti per l'impresa riuscita con allegria ci stringiamo la mano. Da qui la vista è veramente stupenda, quasi non riesco a riconoscere i pur noti profili di miei grandi monti, che sembrano ridotti a piccole gobbe inserite in un immenso scenario circolare; anche lo stupendo lago dove eravamo stamattina ora sembra ridotto a una minuscola macchia d'azzurro. E' per me un momento d'intensa emozione: loro capiscono che è del tutto genuina e ne sono a loro volta coinvolti e contenti. La salita al monte Nero è compiuta! Ma, la discesa? Poco sotto la cima c'è un altro rifugio: nonostante l'alta quota è grande e accogliente. C'è parecchia gente proveniente da svariate direzioni, ci sono gli immancabili triestini con cui posso parlare nel mio dialetto, c'è però anche la grande, verde valle, tanto più in basso, che per forza si dovrà raggiungere. Discendiamo a lungo, il sentiero è facile e segnato, ci vuole solo avere tanta pazienza. Ci fa compagnia il camminare in un grandioso ambiente montano, serenamente chiacchierando di tante cose. Ad un tratto mi chiedono, scusandosi, di potersi per un po' allontanare; sono sconcertato quando li vedo dileguarsi a doppia velocità, a capofitto. Poco dopo però li ritrovo mentre stanno osservando, tutti seri e concentrati, una difficile parete, che prima o poi vorrebbero affrontare. "Non lo dire a mamma, altrimenti si preoccupa" mi supplica Zlatko. Io, sapendolo assennato, lo rassicuro e constato che sono bastate 12 ore passate insieme per farmi coinvolgere in così fraterne complicità montane. Ci son volute ben 4 ore, ma siamo finalmente arrivati in fondo, Dresenza ci accoglie. Sono un po' stanco, ma non importa, per concludere questa lunga gita ora basta usare l'auto e benzina. Ecco, ora sono di nuovo davanti alla trattoria al di là del ponte sull'Isonzo: con il buio sono arrivato e con il buio me ne andrò via, una splendida giornata passata in montagna sta finendo ed è giunto il momento del congedo. Lo strano trio si separa ripromettendosi molte altre salite, la mamma, osservando che Zlatko non parla più l'italiano solo con i verbi all'infinito, sorridendo mi ringrazia, il papà m'invita all'interno per un piccolo brindisi finale. E mi sembra molto bello che per farlo mi abbia portato, non nel locale, ma nella cucina di casa. Tornato a Trieste la solita vita riprende: casa, lavoro, parecchie nuove gite, ma per me quella del monte Nero resta la speciale. Un mio collega che apprezza solo il mare spesso mi dice, per scherzare, di non capire perché amo andare a camminare in montagna e, vista l'età, mi esorta a lasciare. Certo, se ripenso a quante volte, perlustrando i boschi, mi sono bagnato, graffiato e perduto, o alla panoramica cima da tanto tempo sognata che dopo ore di fatica raggiungo proprio quando è calata la nebbia, o alle zecche con cui il Carso sta ricambiando il mio amore, non posso dargli torto. Però poi il mio pensiero ritorna al gran silenzio del bosco che mi avvolge quando vado da solo, in compagnia di me stesso, o al panino che rilassato mi gusto quando assieme a pochi amici abbiamo raggiunto la nostra meta, o all'allegra confusione che regnava quando in cento della Trenta siamo andati sul Carso. E' difficile spiegare agli altri queste sottili emozioni e al collega non so dare una chiara risposta. Un anno è passato e la stessa storia che mi era capitata con il monte Sabotino, si è ripetuta. La Trenta Ottobre ha messo in calendario una gita sul monte Nero, io con la scusa del necessario sopralluogo sono tornato a rifare, in due giorni, il percorso con i miei più cari amici, fra poco ci sarà la gita ufficiale. E' stato facile convincere Zlatko a guidare i più bravi lungo l'ardita ferrata. Saliremo ancora una volta, anche se non insieme, sul suo monte prediletto. Quando finalmente ci rincontreremo lassù e ci stringeremo con gioia la mano, voglio invitarlo a venire con noi nella mia prossima gita, per fargli conoscere l'aspra bellezza della val Montanaia. So già che non potrò salire in cima con lui, età e bravura non me lo concedono, eppure sarò lo stesso soddisfatto quando, dalla base, lo sentirò suonare da lassù la campana del campanile più bello del mondo. Spero che lui accetti, spero che le due gite riescano bene e che tutti ne siano contenti, spero che questo mio discorso fatto di magica intesa con la montagna e la gente che incontro, non debba mai esaurirsi. Mi basta che tutto continui così, in modo semplice, sempre uguale e sempre nuovo, finchè mi resterà la voglia e la forza. Forse ho trovato la risposta che potrei dare al collega: amo andare in montagna perché essa è così forte da riuscire a innescare intorno e in me, una travolgente reazione a catena.

Riflessione personale finale: venti anni sono trascorsi da quando avevo cercato di descrivere una mia gita sul monte Nero. Il tempo passa e inevitabilmente sono cambiati i monti, le persone che incontro, la tenuta fisica (ma non poi di tanto) e l'aspetto (un pò di più). Però, in fondo, mi ritengo fortunato perchè sento in me che la motivazione e quelle sottili emozioni che accompagnavano allora il mio cammino, sono rimaste ancora oggi le stesse. 
Sergio

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